Dopo un periodo di intensa, in alcuni casi estenuante, attività lavorativa arriva finalmente l’estate e con essa la prospettiva di un periodo di riposo dal lavoro, dalla routine quotidiana in attesa di vivere un tempo di spensierata leggerezza da tutto ciò che ha occupato e affaticato la nostra mente e il nostro corpo.

Si contano gli ultimi giorni che ci separano da uno stacco temporaneo di almeno una settimana, nei casi più fortunati due o tre settimane, da trascorrere lontano da un ritmo di vita scandito da orari fissi da rispettare, pasti frugali, imbottigliamenti nel traffico cittadino. Pensieri economici, adempimenti fiscali, code chilometriche in auto svaniscono all’idea di tuffarsi in un mare azzurro o passeggiare in alta montagna con la famiglia, in compagnia di amici. Le vacanze per alcuni, le ferie per altri, cancellano tutte le preoccupazioni…valigie pronte e si parte. E’ l’aspettativa di raggiungere “la terra promessa” che finalmente ci restituirà tutto ciò che è mancato nell’interminabile periodo invernale. Per questo motivo, nei limiti del possibile, ognuno secondo le proprie disponibilità, non si guarda a spese, in alcuni casi si è disposti persino a rivolgersi a una finanziaria pur di non rinunciare a questo periodo.

Ma accade sempre che la vacanza realizzi le nostre aspettative?

Dal lavoro con i pazienti in molti anni di attività professionale ho constatato purtroppo che ciò, nella realtà dei fatti, non si verifica frequentemente. Nella maggior parte dei casi l’estate si presenta come un periodo ad alto rischio per il benessere psicofisico delle persone. Non raramente ho ritenuto opportuno, dietro richiesta dei pazienti, prolungare le sedute anche nel periodo estivo della loro (oltre che della mia) vacanza. Infatti può accadere che l’ansia, invece che attenuarsi, tenda, in alcune circostanze, ad aumentare, presentando dei picchi di tensione acuta, per cui diventa quasi necessario intervenire con sedute aggiuntive. D’altra parte la professione di psicoterapeuta, questo almeno è il mio metodo di lavoro, impone la disponibilità dello specialista a non lasciare a sé stesso il paziente nelle fasi più delicate del percorso analitico e soprattutto all’inizio di una terapia. In tutti questi lunghi anni di attività mi sono sempre resa disponibile alle richieste dei miei pazienti (via Skype nel caso fosse stato impossibile in studio), verificando in seguito che ciò si era rivelato utile, poiché aveva contribuito a rafforzare l’alleanza terapeutica.

Ma quali sono le motivazioni psichiche più significative che conducono all’insorgenza di questo malessere?

Essenzialmente due, fermo restando che ogni caso è unico e irripetibile e che, comunque, le cause di un profondo disagio vanno rintracciate in una concomitanza di fattori esterni e interni che condizionano pesantemente lo stato d’animo di ogni persona.

Il primo fattore è la delusione che emerge quando la realtà non corrisponde alle aspettative del soggetto. Ho descritto come, nell’immaginario delle persone, l’attesa delle vacanze equivalga all’ingresso nella terra promessa, dove si è nutriti con “latte e miele”, luogo magico, simile all’eden, in cui tutto ci è donato, senza fare niente, proprio perché abbiamo pagato la casa, l’hotel, lo stabilimento… o tutto deve corrispondere alla brochure offerta dall’agenzia di viaggi o alla descrizione dell’amico che ci ha convinto a prenotare quella sistemazione. A livello psicologico ci identifichiamo nella condizione di un bambino a cui è stato promesso un gioco e poi si scopre che quel gioco non corrisponde più alle nostre aspettative o non abbastanza come invece speravamo. Le spiagge affollate, l’ombrellone in decima fila a stretto contatto con vicini di spiaggia maleducati, il caldo, oppure il cibo mediocre. A tutto ciò si aggiungono le relazioni con le persone che ci accompagnano che, vissute in uno spazio ristretto, diventano spesso problematiche fino, in certi casi, a provocare un conflitto.

Il problema qual è? Non tanto il luogo stesso e neppure le persone a noi vicine, ma in noi stessi, nelle aspettative eccessive in cui abbiamo riposto i nostri desideri. Il motivo per cui abbiamo investito eccessive pretese sulle vacanze estive dipende, nella maggior parte dei casi, dall’ aver svuotato il quotidiano di fantasia, leggerezza, gratificazione. Per mantenere una condizione di accettabile benessere psichico è necessario vivere ogni giorno, anche un solo attimo, lasciando spazio all’immaginazione, alla creatività, alla leggerezza. Anche solo 10 minuti sono sufficienti per arricchire il nostro immaginario, rendendolo meno bramoso di ulteriori esperienze. In tal senso le vacanze saranno vissute come un valore aggiunto piacevole e necessario, ma non come l’unico luogo in cui la persona possa esprimersi ed essere veramente sé stessa. Per realizzare quanto espresso sopra è necessario un ascolto profondo di sé che permetta non solo in vacanza, ma ogni giorno, di sforzarsi (è uno sforzo perché lo stile di vita porta a fare, produrre e non a essere) di entrare in contatto con il proprio sé, che non è solo l’Io, ma esprime la nostra essenza più intima e autentica.

Il secondo fattore riguarda le coppie, la relazione con il partner, compagno di vacanza e spesso di vita.

D’estate, in vacanza, è molto frequente andare in crisi, soprattutto per coppie stabili. Il motivo? Il relax, l’assenza di lavoro e di orari prestabiliti, il divertimento sono tutti fattori che dovrebbero contribuire a un ménage di coppia più gratificante. E invece?

Accade non raramente che la coppia in vacanza scoppi.

La stretta e prolungata vicinanza con il partner h24 non permette di esprimere la propria individualità, ma di vivere sé stesso e l’altro solo come un Noi, in coppia in un rapporto troppo simbiotico. L’eccessiva intimità rischia la fusione e quindi l’annullamento dell’identità del soggetto. Pochissime coppie riescono a sostenere a lungo questa condizione psichica e subentra la naturale, fisiologica reazione: è un meccanismo di difesa, poiché l’altro invade un campo psichico ed emotivo che non gli appartiene, ma che è un campo psichico solo del soggetto stesso che lo vive. Questo si trasforma in pratica nel tentativo da parte di uno dei due o di entrambi di dominare l’altro attraverso imposizioni innocenti che riguardano il cibo da comprare o il luogo dove trascorrere il pomeriggio o il decidere se uscire la sera o meno e con chi. Solo una giusta equilibrata distanza consente ai due di stare insieme senza ferirsi, come ben ci insegna la metafora dei porcospini di Schopenhauer. Anche in questo caso l’ascolto attento dei propri bisogni e la comunicazione degli stessi al compagno impediscono di entrare in conflitto e di vivere l’altro come presenza ingombrante. Il lavoro in coppia da realizzare presuppone la ricerca di un punto di incontro comune che favorisca la crescita della relazione e anche protegga la propria individualità.

Esiste un limite immaginario entro il quale i due possono essere in intima sintonia, ma oltre il quale è necessario ristabilire una sana distanza emotiva. Lo spazio ristretto, fisico ed emotivo, in cui si vivono questi stati d’animo e l’aspettativa della vacanza perfetta senza problemi, possono facilmente favorire l’insorgere di un disagio di cui è bene prendere coscienza nel rispetto di sé stessi e della relazione.