Il rapporto fra gli esseri umani e gli animali sta diventando sempre più contraddittorio perché non è più in grado di tenere conto delle sostanziali differenze e degli imprescindibili diritti e peculiarità connaturati con i loro bisogni e la loro diversa natura.

 

Questo atteggiamento mentale conduce purtroppo ad un’estremizzazione forzata della loro relazione, spingendo l’uomo, spesso con strafottente superficialità, a comportamenti e agiti che esprimono una violenza e una sopraffazione nei confronti dell’animale che, indubbiamente, rappresenta la parte più debole e vulnerabile di tale rapporto. Cediamo, sempre più frequentemente e con la massima indifferenza da parte della maggior parte delle persone che assiste passivamente a ciò, alla tentazione di considerare gli animali solo come res, cose, oggetti da usare a proprio piacimento, senza considerazione di alcun principio etico o magari solo di buon senso. Basti pensare agli allevamenti intensivi di polli, bovini, maiali: condizioni in cui gli animali quasi non vedono la luce del sole o a mala pena riescono a toccare terra e a muoversi liberamente senza sfregarsi ad un altro animale spesso ricoperto di escrementi a causa dello spazio insufficiente. Essi sono concepiti fin dall’inizio come carne da macello per la soddisfazione del nostro palato, con il risultato che la carne stessa è di mediocre valore nutritivo se non addirittura nociva per l’uso di antibiotici  e di altri farmaci somministrati agli animali nel corso della loro breve vita. Impossibile non ricordare, proprio in questo periodo pasquale, la “mattanza” degli agnelli uccisi in modo barbaro per arricchire i piatti della festa. Così la pesca a strascico, l’uccisione di elefanti per estrarne l’avorio, lo sterminio dei volatili in tempo di caccia, i viaggi all’estero di gruppi di cacciatori che uccidono centinaia di esemplari (come amano mostrare nei selfie) e di cui spesso neppure si cibano, ma solo per soddisfare il desiderio di averne uccisi tanti, compromettendo l’equilibrio fra uomo e natura e come si può constatare per esempio anche nello sterminio delle api a causa dell’uso scellerato di pesticidi per prevenire infezioni fungine delle piante. Forme di violenza che denotano insensibilità e mancanza di rispetto per l’ambiente che abitiamo che non è solo nostro, ma anche del mondo animale. Il grado di  antropizzazione dell’uomo sull’ambiente naturale è costante nel  tentativo di alterarlo e trasformarlo per i propri interessi spesso prevalentemente solo economici, con effetti deleteri e irreversibili da un punto di vista ecologico. Questo modo di affermare con arroganza la supremazia dell’uomo su quanto lo circonda riguarda l’agricoltura, il disboscamento, l’edilizia selvaggia. L’uomo si sente al centro dell’universo, detentore della vita o dell’estinzione di molte specie animali se ritenute non funzionali ai suoi interessi.

Considerando un atteggiamento apparentemente opposto assistiamo ad un’altra forma di violenza: considerare gli animali alla stregua di bambini da accudire nello stesso modo in cui si crescono i figli. Da alcuni anni si notano cani di piccola taglia in carrozzine per neonati, o con abiti umani. Io amo da sempre i cani, sono cresciuta e ho cresciuto i miei figli insieme ad animali in casa, ma cercando sempre di rispettare la loro natura, che è quella animale, non umana, con lo stesso valore e dignità, ma diversa. Non rispettare le differenze fra gli esseri viventi è una forma subdola di violenza che, ancora una volta e come sempre è avvenuto, il più forte esercita sul più debole.

Riguardo al tragico evento della morte avvenuta in Trentino il 5 aprile del giovane runner Andrea Papi è doveroso sottolineare che, a mio avviso, è un dramma causato soprattutto dalla superficialità e dall’incompetenza dei responsabili del territorio del Trentino che sono stati incapaci di gestire, monitorare e tutelare sia l’incolumità delle persone che vivono in quel territorio che degli animali stessi. Ho letto nei vari quotidiani che nel 1996 sono stati reintrodotti gli orsi dalla Slovenia, con spese ingenti per collocare questi animali: circa 2 milioni di euro di cui un milione circa provenienti dai fondi europei. Questa scelta non è stata sufficientemente supportata da un’attenta programmazione volta al monitoraggio degli animali secondo un piano oculato e prudente. Considerando l’habitat italiano, la densità della popolazione in quella zona, la prossimità dei boschi al centro abitato e una mancata informazione sulle dovute norme da rispettare il rischio di possibili incidenti è diventato realtà. Sui quotidiani si legge che l’uomo deve dominare la natura (Il Giornale), ma, mi permetto di aggiungere, con la dovuta competenza e piena approvazione della popolazione che abita in quel territorio. Il responsabile zoologico del Bioparco di Roma afferma che gli orsi trentini sono più aggressivi di quelle marsicani che là vivono. La relativa timidezza dell’orso marsicano dipende da una selezione naturale di molti anni in cui è avvenuta, appunto, una selezione degli esemplari più aggressivi. Se l’uomo non controlla e non prevede le conseguenze di ciò che ha favorito l’orso agisce e si comporta “da orso”. Era essenziale, per tempo, prendere le dovute cautele per favorire una sana convivenza: ognuno, uomo e animale, nei suoi spazi, poiché gli orsi, capaci di correre ad una velocità di più di 50 chilometri all’ora hanno bisogno di ampi spazi che forse non corrispondono ai territori per lo più abitati del Trentino. In Canada, terra di orsi, tra cui i Grizzly, gli animali vivono in aree vaste, lontano dagli umani. In Alaska, a Brooke Falls questi plantigradi vivono nel loro ambiente naturale indisturbati, ma comunque monitorati dai rangers che li controllano a distanza con strumenti specifici ma controllano anche gli eventuali visitatori istruendoli sui potenziali rischi di un incontro ravvicinato con un orso; forniscono alle persone campanelli da legare alle caviglie per avvisare l’animale dell’arrivo dell’uomo. Essendo questi animali solitari, sono i primi ad allontanarsi dalle persone.

Manca un’informazione corretta, molti più cartelli che descrivano ampiamente il comportamento adeguato da tenere in caso di avvistamento di un orso e un maggior numero di guardie forestali.

I media e i giornali dopo l’infausto incidente che ha causato la terribile morte di Andrea, hanno fatto leva sull’emotività delle persone, suscitando sentimenti che, più che dal cuore e dalla mente, fuoriescono dalla pancia. Si enfatizza lo stato d’animo di comprensibile paura del “mostro assassino” che ferocemente ha ucciso il ragazzo, mentre entrambi, orso e Andrea, a mio avviso, sono vittime di un sistema che non ha tutelato entrambi: il ragazzo perché è morto ingiustamente e l’animale che ha l’unica colpa di essere un orso, inserito in una condizione ambientale per lui non idonea. Trascinati da un’emotività infantile ci si schiera fra i colpevolisti, che urlano

“sopprimiamolo” e gli animalisti che lo vogliono salvare ad ogni costo. Appare innegabile che la responsabilità di ciò che è accaduto è dell’uomo eppure, richiedere la morte dell’animale, sembra l’unica soluzione per assecondare un bisogno di vendetta che mette gli animi in pace, ma non risolve in alcun modo il problema.

Leggo sulla Nazione di oggi, 15 aprile 2023:

Il Tar salva di nuovo l’orsa Killer. “Stop all’abbattimento”

La rabbia della Provincia: così si rischia un altro morto.”

Il rischio esiste però anche se si continua ad assumere esclusivamente un atteggiamento proiettivo che addossa tutte le responsabilità sulla natura dell’orso aggressivo e non su ciò che ha determinato questa tragedia. 

JJ4 non è un mostro, ma solo un animale costretto dagli uomini a vivere in un ambiente non adeguato.

 Leggo sulla Nazione una dichiarazione di Flavio Tosi, deputato di Forza Italia e sulla quale sono pienamente d’accordo:

“I lupi e gli orsi sono stati reintrodotti in territori dove non c’erano più e l’errore è stato fatto allora, perché questi animali non possono stare in territori antropizzati….Per quanto riguarda gli orsi del Trentino la soluzione non è abbatterli, né dire agli abitanti di abituarsi a una presenza che è incompatibile con quella umana, ma narcotizzarli e portarli altrove, fuori dall’Italia, in paesi che hanno boschi e foreste in grado di ospitarli”.

Oltre a queste sommarie considerazioni di ordine sociologico e ambientale vorrei aggiungere una breve riflessione di carattere psicologico. La veemenza con cui gran parte della popolazione (di cui io stessa faccio parte) si è battuta per affermare il diritto dell’orsa JJ4 a non essere soppressa deriva, oltre a quanto finora espresso, anche dall’attivazione inconscia di sentimenti archetipici primordiali che hanno radici profonde. L’orsa rappresenta il puer, il bambino incosciente e per questo debole: “brama indipendenza e libertà, si irrita davanti a qualsiasi limite e confine impostogli” (Sharp, p. 109). Esso rappresenta un’istanza interiore silente in ogni essere umano e, proprio in circostanze simili, emerge come bisogno di proteggerla e preservarla perché indifesa (tutti contro uno). Il puer, come JJ4, non sono esseri senzienti e proprio per questo non è giusto punirli, ma proteggerli. Il puer che vive in ognuno di noi va contenuto, ma non soppresso.

Anche con contenuti diversi ma seguendo un principio etico simile  affiora la lotta fra Antigone, con la sua richiesta di sepoltura del fratello defunto Polinice (l’orsa ha diritto di vivere) e l’estrema ratio di Creonte che sostiene il contrario (l’orsa ha ucciso un uomo e per questo deve morire).

 

L’ordinanza di abbattimento è provvisoriamente sospesa in attesa che si pronunci la camera di consiglio per la trattazione collegiale fissata per l’11 maggio. Spero che prevalga un atteggiamento adulto, equilibrato, consapevole della complessità della questione e che contempli il rispetto e la responsabilità sia per gli umani che per gli animali.

Termino questa breve riflessione riportando le parole della madre di Andrea a cui, anch’io come madre, porgo le mie più sentite e sincere condoglianze.

“Ucciderla non me lo ridarà indietro. Come madre non posso accettare una morte così orribile, ma voglio chiarire una cosa: la colpa non è di mio figlio e neanche dell’orso. La colpa va ricercata nella cattiva gestione fatta da chi ha diretto, nel tempo, il progetto “Life Ursus”, che ormai è sfuggito di mano”.

E’ necessario uscire da una logica binaria, per abbracciare una prospettiva più umana che possa finalmente valorizzare un equilibrio armonico uomo-natura concepito nel rispetto e nell’ amore per l’ambiente in cui viviamo: noi, esseri umani, gli animali, e i territori che ci ospitano. Ricordiamoci sempre che non siamo gli unici abitanti di questa terra; se non impariamo ad avere uno sguardo lungimirante su quello che rappresenta il benessere e l’equilibrio ecologico del pianeta presto ci troveremo ad affrontare rischi ambientali seri. Gli orsi hanno bisogno di spazi vasti per vivere e se il nostro paese non può offrire questa condizione, per la sua caratteristica geografica e per l’alta densità di popolazione, appare chiaro che la scelta fatta rimane un’azione scellerata per cui il ragazzo ucciso e la povera orsa adesso in gabbia  sono le uniche vittime che devono pagare.

Mi auguro che si possa uscire dalla logica ristretta e ottusa del pensiero chiuso di causa effetto (hai ucciso, quindi paga con la vita) per entrare in una dimensione di seria riflessione che contempli non esclusivamente la colpa dell’orso, ma piuttosto cerchi di modificare l’atteggiamento di egoismo e di superficialità della nostra natura umana che ci porta ad agire senza considerare le conseguenze delle nostre decisioni. Non è impossibile, se solo riusciamo a prevedere onestamente quale potrà essere il risultato delle nostre azioni nel corso degli anni. Chi ha deciso di reintrodurre gli orsi in Trentino circa 27 anni fa sicuramente l’ha fatto in buona fede, ma è mancata purtroppo  una profonda riflessione su ciò che questa scelta avrebbe comportato nel tempo.