Il compito del volontario in ambito psicologico, in un consultorio o in un punto di ascolto, è molto impegnativo e molto più complesso di quello che superficialmente si possa supporre. 

I motivi fondamentali si riassumono in primis nella domanda da parte di colui che ha bisogno: essa è spesso vaga e confusa, a volte con pretese magiche; spetta all'operatore aiutare la persona a definirla, se necessario limitarla o ampliarla. Il setting non sempre è ben definito e questo non facilita la relazione d'aiuto, specialmente per un volontario alle prime armi (pensiamo allo studio di uno specialista con regole precise che limitano. ma anche proteggono la relazione, riguardo cioè ai tempi e ai costi). In più di 25 anni di professione non mi è capitato spesso che qualcuno rinviasse o cancellasse un appuntamento; la stessa considerazione non la posso fare per quanto riguarda l'ambito del volontariato. Purtroppo prevale l'idea che "se è gratis non è importante, ci vado quando voglio”. Non a caso gli specialisti a volte scelgono di far pagare le sedute disertate dai pazienti e io sono d'accordo perché ciò protegge il setting oltre che naturalmente lo specialista. Il volontario deve essere e rimanere comunque tutelato da un lavoro in équipe con altri volontari e una supervisione almeno mensile, un lavoro in "cordata" in cui egli si senta coinvolto in prima persona, ma anche supportato da tutto il gruppo con cui è in relazione e con cui possa condividere il problema, i dubbi, le prospettive. Vediamo quali possono essere gli obiettivi da prefiggersi in una relazione d'aiuto efficace e le difficoltà che si possono incontrare lungo questo percorso.


Un efficace aiuto in ambito psicologico si attua se si riesce ad attivare nella persona una risorsa che si può definire strutturale (cioè che investe l'aspetto cognitivo, comportamentale ed emozionale), tale da stimolare l'atteggiamento introspettivo utile per rivisitare il proprio vissuto ed affrontare con maggiore consapevolezza i problemi che si presentano. Per essere di aiuto agli altri bisogna accoglierli, ascoltarli ed elaborare insieme a loro il problema.


Le competenze di base del counseling per l' operatore volontario (utili anche nella vita quotidiana) sono:
- Stare bene con se stessi per poter essere di aiuto agli altri a stare meglio, altrimenti si rischia di essere troppo invischiati nella relazione o peggio di proiettare sull'altro il ruolo di colui/colei che è solo "tutto da aiutare", mentre il volantario è solo "colui che aiuta". Entrambi è bene che in primis si pongano, simmetricamente, come persone in relazione, perché la relazione è prioritaria rispetto anche al contenuto stesso del colloquio.
- Riconoscere i propri limiti ("vero sapere è sapere di non sapere", come Socrate ci insegna; essere consapevoli e poter quindi controllare quelle dinamiche personali che possono inquinare la relazione d'aiuto
- E' essenziale controllare la propria emotività. Per esempio è deleterio voler offrire subito una risposta risolutiva al problema, angosciarsi per i problemi che la persona espone, essere condizionati dalla cosidetta "sindrome della crocerossina"- io ti salverò ad ogni costo.
- Padroneggiare le proprie dinamiche. Durante la conversazione possono facilmente tornare a galla le proprie esperienze vissute, i problemi insoluti che, se non riconosciuti come tali, possono inquinare una sana relazione. (Medico cura te stesso, medice, cura te ipsum). Può accadere di sentirsi imbarazzati davanti a un problema che la persona cerca di descriverci e cosi si devia l'argomento impedendo all'altro di esprimersi completamente e liberamente. Si tende a liquidare il problema sul nascere (“Beh.la vita è cosi per tutti, non si preoccupi, poi tutto si aggiusta!”).E' un meccanismo di difesa molto comune, l'importante è esserne consapevoli! Sembra in "buona fede" un modo per far coraggio all'altro, per sdrammatizzare la situazione quando invece l'altro avrebbe bisogno di continuare ad esprimersi. Questo problema spesso nasce se nell'operatore prevale l'esigenza di sembrare competente o troppo protettivo. Per questo, insisto, è essenziale un lavoro in cordata con un'equipe di operatori e altrettanto essenziale sottoporsi a una supervisione costante.
- Mettere da parte le proprie convinzioni e i pregiudizi e concentrarsi sull'ascolto dell'altro. Trasformarsi in “vasi vuoti”, disposti a farsi riempire dal vissuto dell'altro. Deve verificarsi un passaggio dall'essere egocentrati al diventare nella relazione alterocentrati
- Rispettare l'assoluta riservatezza affinché l'utente sviluppi fiducia verso l'operatore e la struttura medesima.


Una relazione d'aiuto efficace deve quindi:
- Tenere a bada le aspettative irrealistiche come il tentare di cambiare le convinzioni altrui, in quanto ogni cambiamento significativo parte solo da se stessi,
- Evitare di offrire consigli, ma informazioni corrette, riconoscere, accettare e far presente all'altro i propri limiti.
- Promuovere una relazione ricca di fiducia e intensa, attraverso un atteggiamento empatico che permetta di mettere la persona che sta di fronte al volontario al centro del colloquio.
- Attivare un ascolto attivo e restituire la sensazione di aver ben capito: riformulazione di quanto dall'altro è stato espresso
- Riconoscere e accogliere i sentimenti dell'altro.
Se si parla di accoglienza in ambito di counseling psicologico è quasi automatico e doveroso far riferimento a Carl Rogers. Circa negli anni '50 del secolo scorso la Scuola Umanistico Esistenziale di Carl Rogers si fece spazio fra le due grandi scuole della psicologia ufficiale: la psicoanalisi di Freud e la scuola comportamentista di Watson. Il divario fra le altre 2 correnti si rivelò enorme perché riguardava la concezione dell'uomo: sia la psicoanalisi freudiana che il comportamentismo di Watson avevano elaborato, da punti di vista diversi, visioni pessimistiche dell'uomo. La prima considerava quasi esclusivamente le dinamiche intrapsichiche, intepretava l'uomo come condizionato dalle sue pulsioni e istinti (eros e thanatos) e intravedendo nel processo di sublimazione l'unica possibilità di evoluzione matura e positiva; la seconda rischiava di privilegiare esclusivamente un arido determinismo condizionato dall'esterno. L'uomo era considerato una tabula rasa, su cui l'ambiente e le esperienze potevano determinare il suo destino.


Il contributo di Rogers, promotore della terapia non direttiva, centrata sul cliente, ha avuto un peso enorme nella conduzione del colloquio nella relazione d'aiuto. L'approccio non direttivo predilige modalità di intervento volte all'autonomia e alla responsabilizzazione del soggetto, che è cliente attivo e attore protagonista, rafforzando la sua consapevolezza in contrapposizione al concetto di paziente dipendente.


Per Rogers 3sono le caratteristiche da cui non si può prescindere in una relazione d'aiuto efficace:
- L'accettazione incondizionata dell'altro. Implica la capacità di accettare i sentimenti dell'altro senza valutarli, né assumere un atteggiamento indagatorio, chiedendo troppe informazioni aggiuntive, precisazioni, fare interpretazioni precoci o superficiali.
- La Congruenza. Riuscire a percepirsi armonicamente nella comunicazione verbale e non verbale monitorando i propri stati d'animo affinché siano congrui al proprio sentire; che non si verifichi una comunicazione in contraddizione fra Il verbale e il paraverbale che risulterebbe ambigua e doppia (Bateson, il doppio legame, comunicazione schizofrenica).
- L'Empatia cioè la modalità di insight che implica la comprensione del messaggio profondo comunicato dall'altro.
- Specifica ed efficace abilità del counseling è quella di offrire un feedback. (Retroazione). Grazie al feedback un modello di comunicazione lineare (del tipo stimolo-risposta: do un calcio al sasso e questo rotola) diventa circolare ( do un calcio al cane il quale forse rotolerà per terra, ma non rimarrà fermo, comunque avrà una reazione, forse mi morderà!). Lo spostamento di prospettiva é considerevole, dalla logica classica aristotelica ("se A allora B" (principio causa-effetto), a una logica circolare:"se A allora B e se B allora A" Questo implica l'impossibilità di considerare l'esistenza come un evento causale che semplicemente attiva la variazione di un altro elemento, ma induce a considerare l'effetto che quella stessa variazione avrà sull'evento causale stesso. Si fa spazio concreto il principio della circolarità della relazione che rende l'utente della relazione d'aiuto soggetto protagonista e responsabile del suo possibile cambiamento.