Che cosa sono, in che modo e a che punto possono condizionare il nostro equilibrio psichico.

I pensieri automatici sono così chiamati perché si presentano come estremamente frequenti e molto familiari all’interno dei nostri pensieri quotidiani. Essi attraversano la nostra mente senza quasi che noi ne siamo del tutto consapevoli; generalmente tali pensieri vengono accolti da ognuno di noi senza alcun filtro critico, come parte integrante del nostro processo mentale; essi sono recepiti e accettati, appunto, in modo del tutto “automatico”. I pensieri automatici in alcuni casi costituiscono l’assetto portante del pensiero della persona stessa. Il problema sussiste quando tali pensieri automatici sui vari accadimenti della propria vita, banali o significativi che siano, contribuiscono in abbondanza a condizionare le reazioni emotive della persona stessa. Quando questi pensieri influenzano l’esistenza del soggetto con un’intensità tale da comprometterne l’equilibrio e il benessere mentale è essenziale innanzitutto prendere piena consapevolezza della modalità e della forza con cui essi penetrano nel mondo interiore di quella persona condizionando quasi totalmente il suo pensiero e soprattutto inibendo in larga misura la capacità critica di valutare correttamente ciò che ella in prima persona sta vivendo. Diventare consapevoli di essere gli unici e reali responsabili della maggior parte dei pensieri automatici che invadono la mente aumenta le proprie risorse emotive e la capacità di reagire in modo adeguato e adulto, trasformando i pensieri automatici negativi (perché distorti) in pensieri alternativi, volti a trovare punti di vista positivi per la propria vita. Riuscire a realizzare questo obiettivo è quindi alla base della ricerca del proprio benessere incrementando la capacità di affrontare la vita con sufficiente fiducia e ottimismo. Una volta raggiunto questo step è corretto sottolineare che i pensieri automatici non saranno mai cancellati del tutto dalla propria mente, essi continueranno, anche se in misura gradualmente minore e meno aggressiva, a entrare in punta di piedi nei nostri pensieri; ciò che veramente cambierà sarà la reazione agli stessi che il soggetto prontamente metterà in atto. Mentre all’inizio, per cacciarli, egli avrà impiegato diverso tempo ed energie (spesso con esito fallimentare), con un assiduo allenamento, in pochi secondi, i pensieri automatici verranno identificati e quindi riconosciuti come tali e per questo resi “inoffensivi”.

Ma, in pratica, quali tecniche e quali tipi di strategie possono bloccare i pensieri automatici favorendo l’emergere di un pensiero positivo nei confronti di ciò che ci accade?

Uno strumento efficace è rappresentato dalla tecnica di arresto del pensiero, frutto prevalentemente degli studi della psicologia cognitivo-comportamentale. Questa tecnica consiste nel concentrarsi all’inizio su alcuni pensieri negativi che disturbano l’equilibrio emotivo della persona e interromperli dopo un periodo di tempo breve, già stabilito dal soggetto stesso; questo stop può avvenire quasi bruscamente attraverso un segno, un’immagine, un gesto: si decide di pensare ad occhi chiusi a una situazione che facilmente faccia insorgere pensieri stressanti, negativi. E’ utile attivare un timer che suoni dopo 3 minuti, quindi immergersi nei pensieri automatici: appena la sveglia suona scandire a piena voce “basta, oppure stop, via”. Si tratta di sgombrare la mente dai pensieri negativi lasciando il posto a pensieri positivi o neutri (che cosa si desidera mangiare a cena, l’ascolto di una musica piacevole, concentrarsi su un film piacevole da vedere). Se il pensiero automatico ritorna è utile cacciarlo nuovamente via con la voce, aiutandosi eventualmente con la mimica. Sarebbe anche opportuno registrare la propria voce che urla “via” dopo la sequenza dei pensieri automatici, a distanza di circa tre minuti e ripetere più volte l’esercizio proposto, fino a eseguirlo senza l’utilizzo del timer, ma solo della propria voce. Man mano che il compito risulta più fluido è consigliabile abbassare il tono della propria voce fino a dire stop a bassa voce e alla fine riuscire a formulare solo mentalmente il segnale di stop del pensiero automatico, solo quindi pensandolo oppure si può focalizzare l’attenzione sull’immagine di un semaforo rosso, o di un pugno che colpisce quello stesso pensiero… La fase conclusiva di arresto del pensiero consiste nella sostituzione del pensiero automatico con l’affermazione di un pensiero assertivo e positivo. (Se, per esempio, si ha paura dell’aereo, perché in volo potremmo essere vittime di un incidente mortale, si potrebbe obiettare che quel volo mi permetterà di raggiungere la meta in pochissimo tempo e per questo è un mezzo comodo, veloce e statisticamente molto più sicuro di un’auto o di un treno). Per contrastare il pensiero negativo, è utile formulare una serie di affermazioni positive: non soltanto una, in quanto ripetendo sempre la medesima risposta, questa potrebbe non essere sufficiente. L’arresto del pensiero automatico richiede pazienza e tenacia, non basta eseguirlo 1 o 2 volte perché esso si ripresenterà altre volte, ma sarà necessaria molta costanza nell’eseguire gli esercizi proposti; i pensieri automatici gradualmente si ripresenteranno con frequenza sempre minore, fino a perdere la valenza distruttiva dell’inizio. L’esperienza clinica su molti pazienti ha sufficientemente evidenziato che i pensieri automatici precedono sempre emozioni negative che a volte possono essere vissute come terrorizzanti. Soltanto riuscendo a controllare tali emozioni diventa possibile contenere in modo significativo ed efficace il livello di stress e di tensione emotiva.

Si tratta soprattutto di imparare a controllare l’ansia anticipatoria che annuncia l’insorgere del pensiero automatico. A volte il pensiero automatico si affaccia in corso d’opera, mentre ci accingiamo a realizzare qualcosa di piacevole. In tal caso non c’è tempo di eseguire l’esercizio; siamo del tutto impreparati a gestire la situazione. Quello che non si deve cercare di fare in questo caso è evitare la situazione temuta, ma al contrario è bene “tentare” di affrontarla, anche correndo il rischio di entrare in ansia. (Cosa che invece accadrà più facilmente la seconda volta in cui ci accingeremo a ripetere un gesto, un comportamento, oppure semplicemente andare in un luogo già una volta precedentemente “evitato”. In questo ultimo caso l’ansia aumenterà in modo esponenziale).

 Facciamo un esempio banale. Una giovane sta andando a una festa da amici, ma durante il tragitto alcuni sgradevoli pensieri invadono la sua mente: “Io ci vado, ma faccio malissimo, perché accadrà come altre volte, nessuno mi rivolgerà la parola se non farò io il primo passo, tutti si divertiranno tranne la sottoscritta, perché io non sono simpatica; è chiaro: tutti mi scansano dopo un po’, sono noiosa, so bene che…non piacerò mai a nessuno…”. La ragazza innesca un meccanismo disfunzionale che facilmente diventerà una vera e propria “profezia che si autoavvera”! A questo punto l’ansia sale, considerando da 0 a 100, supponiamo a 20. Se la ragazza decide di inventarsi una qualunque scusa per evitare di andare alla festa, questo diventerà un classico “evitamento”, l’ansia salirà quindi a 80. Accadrà che la prossima volta che si presenterà per lei la possibilità di andare ad un’altra festa l’ansia busserà alla sua mente e al suo corpo partendo subito da 80. Se invece, essendosi fatta forza, ella sarà riuscita ad affrontare il suo disagio non rinunciando all’appuntamento, è quasi certo che la sua ansia si manterrà a 20 (non più a 80), livello che rimarrà presumibilmente tale anche in un’altra occasione e gradualmente, non evitando ulteriormente, esso presumibilmente diminuirà. Dando quindi per scontato che sarebbe negativo rinunciare ad andare alla festa, bisogna che la persona diventi capace di controllare l’ansia anticipatoria che precede l’incontro.

Un altro esercizio consiste nell’individuare un momento della giornata, in genere di sera, in cui, per 30 minuti si stabilisce di dare pieno sfogo ai propri pensieri automatici. Si lasciano entrare, si guardano ad occhi chiusi come se leggessimo un libro o vedessimo un film. Terminati i 30 minuti si ritorna alla vita e ai pensieri che riguardano la realtà del soggetto impedendo a nuovi pensieri automatici di entrare, ma posticipandoli energicamente al giorno successivo, alla stessa ora. Se l’impulso ad ascoltare il pensiero automatico è prepotente si può appuntarlo brevemente su un taccuino e rinviare all’indomani l’accoglienza ulteriore del pensiero medesimo. L’esercizio costante permetterà gradualmente di contenere il pensiero disfunzionale entro i 30 minuti e di diminuire pian piano il tempo di ascolto emotivo dello stesso, fino a renderlo superfluo.

Sono queste semplici, pratiche strategie che possono, in alcuni casi, essere funzionali al raggiungimento dell’obiettivo prefissato (liberarsi in parte dei pensieri nevrotici, tamponando in qualche modo il disturbo) , ma la meta finale, per il raggiungimento di un solido, stabile equilibrio psicofisico, resta, a mio avviso, la disponibilità a mettersi in gioco, in ascolto della zona d’ombra che spesso bussa alla nostra mente chiedendo di svelarci qualcosa di noi di cui non siamo ancora pienamente consapevoli.