L’intimità affettiva, il benessere all’interno della coppia e la comunione emotiva fra due persone che si amano non è il punto di partenza e tanto meno un presupposto scontato. Non corrisponde a verità affermare che se ci si ama, siamo in comunione.

In alcuni casi, come ho spiegato in articoli precedenti, se ci si ama si può facilmente entrare in conflitto e vivere la relazione in perenne tensione. Saremmo ben lontani dalla realtà se pensassimo che l’amarsi in coppia dovesse equivalere a sperimentare un’assenza di conflitti e di tensioni; conflitto e tensione accompagneranno sempre e comunque ogni ottima relazione affettiva. La comunione e l’intimità emotiva sono il risultato ultimo di un lungo cammino, cammino che prevede molte fasi, tappe da superare ed esigenze di ognuno dei due da rispettare altrimenti, dandole per scontate, non si crea comunione, ma pseudo comunione. La difficoltà a raggiungere l’equilibrio e la serenità in coppia deriva dal fatto che la relazione attraversa varie, complesse, contradditorie fasi in cui tanti episodi e accadimenti turbano questo equilibrio. Le varie stagioni della vita familiare presentano situazioni che invitano gli sposi a rivisitare il loro rapporto e l’equilibrio precedentemente conquistato, a volte con sforzo e spirito di abnegazione. La nascita dei figli per esempio cambia il ritmo della vita di coppia, gli orari, i loro tempi, costringendoli ad “inventare” comunicazioni nuove; così come quando i figli iniziano ad andare a scuola e quando poi escono di casa definitivamente e la coppia si ritrova di nuovo da sola. Come ben osserva Wynne, il primo passo da compiere per vivere in comunione in coppia è l’attaccamento (attachment). Esso comprende l’area dell’attrazione, del bisogno dell’altro, cioè  tutto ciò che contribuisce a generare l’innamoramento.

Essi sentono che lo stare con l’altro/a gratifica una parte importante di sé. Se lo stare insieme non implicasse questi “benefici”, non sarebbe attraente. Così avviene per la simpatia. Cosa significa che incontrando una persona si ha “a pelle” la sensazione di aver di fronte una persona simpatica oppure antipatica? Agiscono in noi processi di percezione profondi e immediati che ci permettono di capire se da quella persona potremmo ricevere gratificazioni o meno. Se il rapporto con una persona comporta più “costo che beneficio” esso non attrae. Sarà invece il sentirsi capito e la disponibilità reciproca a venire incontro l’uno all’altra a credere di essere in comunione con il partner. Ciò però sottende un sottile inganno.

 “Si sta bene insieme”, è vero, è importante, ma è una fase. Perché il giorno in cui questo star bene insieme sarà messo in discussione da qualche altro fattore…in tal caso viene meno la comunione? Una coppia non riesce a sopravvivere grazie alla semplice gratificazione vicendevole dei propri bisogni. Il poeta libanese Gibran parlando della coppia osserva: due colonne per sostenere un tetto devono stare bene l’uno di fronte all’altra, quando invece queste due colonne si appoggiano l’una all’altra sì, non cadranno, ma non reggono neanche un tetto.

Quindi l’essere coppia nasce anche dall’esigenza di appoggiarsi reciprocamente in certi momenti, ma non si ferma qui. Il secondo passaggio è chiamato “care”, la cura, il prendersi cura l’uno dell’altro. Si supera la logica dei bisogni e si entra nella capacità di empatia, cioè il cercare di sentire in me ciò che l’altro sente; calarmi nei panni dell’altro, per capire ciò di cui l’altro ha bisogno. L’attenzione è invertita: parte da me e si dirige sull’altro nella comprensione di ciò che l’altro sta vivendo. Il cercare di capire ciò che sente l’altro permette di dialogare come “esplorazione comune di un problema”. Ciò implica un terzo passaggio essenziale alla vita di coppia, cioè la comunicazione. Comunicare in modo efficace non è facile perché spesso la comunicazione subisce distorsioni. Vediamo un esempio di comunicazione distorta. Quando i due litigano, di solito, il litigio inizia così: “tu sei egoista perché non sei stato attento ai miei bisogni, mi hai trattato male, mi hai fatto star male perché tu…”

Questa comunicazione è fallimentare, perché il soggetto inizia attaccando e l’altro non potrà che difendersi o attaccare a sua volta o rimanere in silenzio. Un modo corretto di iniziare una comunicazione potrebbe essere: “Io sono arrabbiato, provo rabbia perché tu hai detto o fatto questo; io l’ho sentito o interpretato così, ma non conosco le tue motivazioni, non so perché tu l’abbia fatto o detto; chiariamo insieme”. Oppure “avevi davvero questa intenzione di ferirmi? Ti sei accorto di avermi ferito?” Questo è un altro tipo di comunicazione in cui non si proietta sul partner la causa della rabbia, non si dice all’altro: “sono arrabbiato perché tu hai fatto questo”, ma sono arrabbiato, ma non so se dipende da me, se ho interpretato male o se dipende da te”.

Un’altra forma di comunicazione corretta è quella di provare a dire durante una discussione ciò che sente l’altro. Il sentirsi capito nelle proprie emozioni costituisce un “ponte” e di conseguenza non occorre più difendersi.

Ecco quindi che l’attaccamento, il prendersi cura dell’altro esigono che la coppia sappia comunicare. E la comunicazione cosa genera? L’ulteriore passaggio, il “joint solving problem”, il risolvere insieme i problemi, che genera coesione nella coppia. Quando ognuno si porta dentro di sé i propri problemi e li vuole risolvere da solo, l’equilibrio di coppia ne soffre. Spesso ciò accade a causa del problema di potere e di dominio che uno dei due esercita sull’altro o reciprocamente. Pur senza consapevolezza si lotta frequentemente per dimostrare chi comanda all’interno della coppia. Nella sana relazione di coppia il dominio si alterna. L’attaccamento, la cura, la comunicazione contribuiscono a creare un clima di mutualità, il sentirsi insieme nel cammino della vita. Se mancano questi passaggi si genera una pseudo-mutualità e una relazione per molti aspetti zoppicante.

 Un modo efficace per risolvere la conflittualità è la “modificazione del ruolo” che viene attraverso il rispetto dell’altro grazie alla capacità di saper uscire da se stessi, dal proprio ego ipertrofico e andare incontro all’altro, per cercare un punto di vista comune. Un altro modo efficace di affrontare il problema conflittuale è mettere in atto un sano umorismo, il saper scherzare e sdrammatizzare. Tali approcci sono essenziali perché la comunicazione è vitale all’interno della coppia; se essa manca si possono creare degli stalli pericolosi che possono mettere a dura prova la sopravvivenza della relazione. Quando la comunicazione dei coniugi non è sana o precaria il genitore può ricercarla nel figlio, oltrepassando il confine generazionale. Sono fatti che accadono frequentemente nella vita di coppia e familiare perché imparare a volersi bene è estremamente faticoso e adoprarsi per promuovere costantemente il mutuo scambio e sviluppo affettivo è impegnativo.

L’intimità è l’ultima tappa di un cammino di comunicazione e di unione; essa diventa lo specchio di come si vive l’intimità sessuale: è molto più facile vivere quest’ultima che non vivere la comunione in coppia. Quando l’intimità, anche sessuale, non nasce da una comunicazione e comunione, rimane un gesto che viene posto fuori dal suo contesto e non può per questo assumere il suo significato più profondo. Il rapporto sessuale è la cartina tornasole che indica la salute della coppia; se l’atto sessuale è vissuto con significati nascosti di dominazione e di umiliazione lascia i due insoddisfatti e potenzialmente più pronti a discutere e a dominare l’altro. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto rimando ai miei articoli precedenti nei quali ho spiegato a fondo la dinamica sottesa a questo tipo di rapporto.