Freud non ebbe rapporti terapeutici diretti con soggetti psicotici, perché fondamentalmente riteneva che la loro incapacità di sviluppare un Transfert verso il terapeuta rendesse alquanto problematica l’applicazione della tecnica psicoanalitica e che fossero necessarie modifiche della stessa.

“Le psicosi, gli stati confusionali e la depressione profonda…sono inadatti alla psicoanalisi, perlomeno così come viene praticata fino ad oggi.” (S. Freud, Psicoterapia,1904, sta in: Opere, vol.4, Boringhieri, Torino 1970, pag. 435.
K. Abraham, nella seconda parte della sua vita, ritenne invece che fosse possibile instaurare un rapporto terapeutico con una personalità psicotica; da questa considerazione seguirono alcuni suoi tentativi per avvicinare tali soggetti.
P. Federn approfondì questi studi e si convinse che poteva esistere uno stretto legame transferenziale fra il soggetto psicotico ed il terapeuta. Per Federn Io, Es, Super-Io, nel soggetto psicotico, avevano ‘confini immaginari’ vacillanti e incerti, per cui accadeva che L’Es spesso prorompeva invadendo l’Io. Si trattava quindi di agire attraverso una rimozione sintomatica delle pulsioni dell’Es ed una graduale ricostruzione dei confini precari dell’Io. Per ottenere questo risultato Federn faceva appello alla parte sana e più strutturata del soggetto. Anche O. Fenichel si interessò alla condizione psicotica, descrivendola nel suo “Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi” (1945). Egli rimase ancorato alle teorie di Freud, rendendo più elastica la tecnica freudiana rivolta a soggetti nevrotici.


Per Freud le pulsioni biologiche, di natura essenzialmente sessuale e aggressiva, improntano di sé la personalità umana; tali pulsioni trovano maggiore o minore espressione da individuo a individuo, anche in considerazione dei fattori ereditari. Il determinismo psichico implicito nelle teorie di Freud risente molto del principio della causalità delle leggi fisiche ed i suoi presupposti biologici sono molto influenzati dalla teoria dell’evoluzione della specie di C. Darwin.
L’impostazione meccanicistico-evoluzionistica del suo pensiero lo portò a rintracciare l’origine del comportamento adulto in una coazione a ripetere di esperienze vissute nell’infanzia, all’incirca fino ai cinque-sei anni di età; successivamente, tutto o quasi, è ripetizione inconscia delle esperienze già vissute.
Un esempio di come Freud fosse influenzato dalle teorie scientifiche e culturali del suo tempo si evince dal metodo stesso di affrontare ogni problematica in termini dualistici, prevalentemente per coppie antitetiche: istinto di vita e di morte, sadismo e masochismo, l’Io e l’Es etc. Tale impostazione è tipica delle scienze fisiche.
Inoltre la concezione sulla natura umana di Freud si avvicina molto a quella di Hobbes e Darwin; tale natura ha la caratteristica di essere fissa e determinata.


I presupposti descritti cominciarono a vacillare agli inizi degli anni trenta, quando R. Benedict e M. Mead si dedicarono a studi antropologici sui costumi, le usanze e la cultura di civiltà non occidentali. Questi studi circoscrissero l’importanza dei fattori istintivi nella formazione della personalità, evidenziando invece l’influenza dell’aspetto sociale e culturale di queste popolazioni. Il concetto di cultura differenziato per popoli e gruppi etnici è di origine assai recente e fa parte del ventesimo secolo piuttosto che del periodo storico culturale di Freud.
La tecnica psicoanalitica classica comporta l’uso del lettino, implica la ‘neutralità’ del terapeuta, il ricorso all’interpretazione come metodo prioritario per riportare alla coscienza il materiale rimosso; inoltre le associazioni libere, spesso lasciano il paziente nel silenzio e nell’isolamento. Tale tecnica trova la sua piena realizzazione nella condizione nevrotica, mentre si adatta con difficoltà al profondo stato di dissociazione ed emarginazione delle personalità psicotiche.
All’interno della scuola freudiana gli psicologi dell’Io non hanno seguito l’impostazione di Federn, ma piuttosto quella di H. Hartmann, D. Rapaport, E. Kris, R. Loevenstein, esponenti della scuola di Chicago. Essi affermavano che la schizofrenia è prevalentemente un disturbo dell’Io.


H. Hartmann era un discepolo di E. Jones; ha approfondito il concetto di Io, enfatizzando come e quanto l’Io venga condizionato dagli effetti che il mondo esterno esercita nel suo sviluppo. Egli ha anche insistito sui principi dell’adattamento che riguardano due settori dell’Io, quello libero da conflitti e quello conflittuale; quindi secondo lui l’adattamento può assumere due forme complementari: progressiva e regressiva. La parte delle teorie di Hartmann che si è scontrata con quelle di Freud riguarda proprio l’esistenza, ipotizzata da Hartmann, di un Io originariamente autonomo, che si sviluppa in una sfera libera da conflitti e che include in sé una prospettiva di adattamento. Tale “energia neutra” come egli la definì, è al servizio dell’Io. Per Freud invece l’Io deriva dall’Es indifferenziato. Ribadendo l’estrema importanza dei fattori ambientali esterni capaci di plasmare lo sviluppo dell’Io, Hartmann prese le distanze dalla concezione dualistica e biologica degli istinti in Freud.
Stabilendo un significativo trait d’union fra l’ontogenesi dell’organismo e l’ambiente sociale-
Hartmann ha avuto il merito di sfatare l’immagine di uomo ideale, modello perfetto di salute psicofisica, libero totalmente da conflitti.

Freud riteneva che fosse difficile instaurare un transfert con persone regredite ad uno stadio narcisistico, nella paranoia e ancora peggio nei casi di demenza praecox in cui:
“La regressione non giunge solo fino allo stadio narcisistico (che trova nel delirio di grandezza la sua espressione) ma perviene fino all’abbandono completo dell’amore oggettuale e al ritorno all’autoerotismo infantile” (S. Freud, Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia descritto autobiograficamente, 1910, in Opere, vol. 6, Boringhieri, Torino,1970, pag. 402).
Nell’interpretazione dei sogni Freud descrisse i processi di analogia fra sogno e psicosi. La struttura arcaica del sogno con il suo significato simbolico trova una controparte nella sintomatologia della psicosi. Comune denominatore è la concezione incoerente del tempo, la sovrapposizione spazio-temporale corrisponde anche ad una totale frammentazione corporea:
“…al rapido svolgersi della rappresentazione nel sogno corrisponde la fuga delle idee nella psicosi. In entrambi i casi manca qualsiasi misura del tempo .” (S. Freud, op. cit. pag.24).
Anche in un altro saggio, “metapsicologia”, del 1915, Freud sottolineò l’analogia fra la fase allucinatoria della schizofrenia ed il processo onirico. In entrambi i casi l’Io si ritira dal mondo esterno, venendo meno alla sua funzione basilare: ‘la prova di realtà’. Mentre però nel sonno tale ritiro è fisiologico, nella schizofrenia tale processo è psichico e l’Io è così frantumato che “…l’esame di realtà non può più ostacolare l’allucinazione” (S. Freud, op. cit. pag. 101).
Appare evidente che il meccanismo psicotico è quindi, in parte, presente nella vita onirica di ognuno di noi, nel momento in cui l’Io è meno vigile.
In un articolo del 1896 “Analisi di un caso di paranoia cronica” Freud definì la paranoia come una psicosi da difesa, in cui si attuava un cattivo uso di un meccanismo di difesa comunemente presente nella vita di ognuno di noi: la proiezione. Analogamente a quanto avviene nelle psiconevrosi, la formazione dei sintomi della paranoia sarebbe dovuta al “ritorno del rimosso” ed al compromesso tra esso e la difesa primaria, la proiezione: E’ questa l’origine da cui si sviluppano le idee deliranti di persecuzione. Il conflitto non è elaborato dall’Io ma al di fuori di esso; si evita così inconsciamente il senso di colpa, l’autorimprovero che scaturisce dall’introspezione di un Io solido e strutturato. L’autorimprovero si trasforma in rimprovero proveniente dall’esterno e diretto al soggetto paranoide, che, a sua volta, si trasforma in vittima perseguitata e punibile: in ultima istanza innocente. (vedi il delirio del Presidente Schreber).
Mentre lo stadio del narcisismo è una tappa evolutiva indispensabile per lo sviluppo psichico del bambino, la fissazione a questo stadio può diventare causa scatenante della paranoia. Il contenuto delle idee deliranti, pur essendo patologico, rappresenta anche uno sforzo per stabilire o mantenere un contatto, per quanto distorto e persecutorio, con le persone e la realtà che lo circondano; senza questo contatto egli vivrebbe nell’annullamento totale.
Per quanto riguarda lo sviluppo della schizofrenia la libido si distacca dal mondo esterno e si ritira sull’individuo stesso dando origine, come afferma Freud, ad un comportamento narcisistico, che tende a ricreare quello stato di “non differenziazione” fra il sé e il non sé che è caratteristico dei primi momenti di vita del lattante.


Sottolineando ciò che è comune sia alle nevrosi che alle psicosi Freud afferma:
“Nevrosi e psicosi sono entrambe espressioni della ribellione dell’Es contro il mondo esterno, del suo dispiacere, e, se preferite, della sua incapacità ad adattarsi alla dura realtà.” (S. Freud, la perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi, sta in Opere, vol.10, Boringhieri, Torino, 1970, pag. 41)
Nella psicosi però tale ribellione è totale e comporta una drastica rottura con la realtà vissuta come troppo frustrante. Il mondo ‘nuovo’ che la personalità psicotica costruirà sarà fatto di incubi, deliri di persecuzione, allucinazioni.
Il deserto relazionale, affettivo, comunicativo che il soggetto psicotico produce intorno a sé aumenta la distanza dagli altri inducendo la persona psicotica all’emarginazione totale e alla chiusura in se stessa.