Passando casualmente da una bancherella del mercato sono rimasta colpita da un pigiamino bianco su cui in nero era stampato:
“Love me forever or never”.

Sulla maglietta era disegnato un vitellino con lo sguardo un po' attonito, un po' risoluto che, dritto sulle due zampe posteriori si appoggiava su un grande cuore rosso. Ho pensato che sicuramente quel pigiamino fosse stato pensato e quindi confezionato per una giovane e nel caso in cui quella giovane l'avesse indossato questa scelta avrebbe potuto avere un senso per lei; ho immaginato che dietro un gesto apparentemente insignificante come comprare proprio quel pigiama, fosse sottesa una metacomunicazione significativa che timidamente cercava di farsi spazio.
Forever or never. Ha questo messaggio un aggancio alla realtà affettiva che tanti giovani vivono oggi? Riflettendo sull'esperienza pluridecennale acquisita grazie alla conoscenza di tanti giovani e giovani coppie in analisi, ho ritenuto che la frase stampata su quella maglietta non fosse del tutto casuale. Il denominatore comune osservabile nella maggior parte dei ragazzi e delle ragazze dai 15/16 anni fino ai 25/30 (ma potrei facilmente salire con l'età in considerazione di un'ipotetica adolescenza che si protrae in alcuni casi fino ai 40 anni) è caratterizzato da un'estrema sensibilità, un forte bisogno di amore e da una fragilità emotiva che però impedisce ai giovani di affrontare la problematica in modo maggiormente introspettivo e progettuale.


Molti giovani di diciotto- venti anni decidono di venire in analisi per un insieme di disagi prevalentemente esistenziali, “coperti” da un sintomo:
ansia generalizzata, ansia acuta , attacchi di panico con o senza evitamento, fobia sociale. Questi sono i casi più frequenti.
All'inizio i giovani si rivolgono allo specialista per eliminare il sintomo che procura loro molta sofferenza, ma presto la richiesta si trasforma in un percorso più complesso che intacca la sfera affettiva, la sessualità, le relazioni affettive. Spesso molti ragazzi e ragazze vivono un'affettività precaria; in questa situazione entrambi si rassegnano ad accettare un rapporto che non è in alcun modo definibile, in cui ognuno ha l'assoluta libertà di rimanere nella relazione o di andare via, senza spiegazioni. Stanno insieme per parlare, fare sesso, confidare all'altro la propria sofferenza, ma per un momento, nell'immanenza totale, hic et nunc, perché tutto può finire in un attimo, magari nell'istante in cui uno dei due trova un'altra persona che lo attrae di più. Nessun vincolo quindi e soprattutto nessuna riflessione.
Non può essere diversamente.
Ma è proprio così?


Analizzando i motivi della profonda sofferenza che i giovani vivono oggi si intuisce che manca un aspetto essenziale: l'ascolto di sé. Si è creata una distanza enorme fra le contrastanti dinamiche del loro mondo emozionale e il loro comportamento. Agiscono senza capirne fino in fondo i motivi. Si adattano e si conformano ad un atteggiamento di massa trovando nelle regole del gruppo un'identità protettiva e rassicurante. Domina un'apparente indifferenza e una soffocante apatia rispetto al proprio mondo emotivo. Diventa quasi un diktat lo sforzo di sembrare ad ogni costo forte ed impermeabile ad ogni possibile ferita che l'altro involontariamente o meno potrebbe causare. Sembra un atteggiamento originale, libero, svincolato da ogni consuetudine, mentre analizzandolo si scopre che all'opposto è conformista e stereotipato. Si osserva un adagiarsi a vivere relazioni affettive “liquide”, perché sembra più semplice e conveniente, mentre questo atteggiamento si rivela all'opposto insidioso.
“Non è venuto senza avvisarmi? Che mi importa, ne trovo 100 meglio di lui!”
“L'ho vista baciarsi con un altro. Non me ne importa niente, anzi fa bene, lo faccio anch'io”
“Va al mare con i suoi amici e le sue amiche, altrimenti in due da soli sembriamo fidanzatini.. e poi ci annoiamo..lo capisco, fa bene a divertirsi, lo faccio anch'io!”
“Andrei volentieri a dormire a mezzanotte dopo una giornata di lavoro, ma ho fissato con gli amici di andare in discoteca e ci vado; magari prendo qualcosa per tenermi su!”
Esempi di riflessioni banali che accade spesso di ascoltare nel mio studio. Manca però una semplice riflessione di fondo: “Ma a me va proprio bene così? E se va bene come mai sono così depressa e triste al solo pensiero che lui sia con altre e che si diverta senza di me...non potevo forse essere anch'io con loro?”
Ciò che manca quindi, prima di un confronto con l'altro è un dialogo profondo con se stessi, senza paura di sentirsi diversi e non conformati a delle convenzioni sociali del momento che invece sembrano solo suggerire “cogli l'attimo, sii contento così e non chiederti altro!”


Per riconoscere che l'altro è prezioso per me, è unico, che è essenziale che ci possiamo dire “voglio stare solo con te”, è necessario uscire dall'ottica utilitaristica del carpe diem e con coraggio dirsi “forever” anche se poi, come è quasi sempre avvenuto, con tutte le probabilità, il rapporto finirà, però in quell'attimo ci si crede veramente e lo si dimostra; è questo che effettivamente manca rispetto al rapporto affettivo di molti giovani in passato. Rivelare a se stessi e all'altro “ci credo e scommetto su questo amore” implica accettare il rischio, perché l'amore non permette di essere protetti, ma nudi nel rivelare all'altro cosa si prova profondamente, le paure di abbandono e di tradimento, di non essere abbastanza per l'altro, ma oltre a tutto ciò avere il coraggio di esprimere anche il desiderio, le aspettative, i propri sogni sulla relazione. Ciò fa di un amore a tempo un grande amore in qualsiasi momento della vita, a 15, a 30, a 60, forse anche a 90 anni. E' il nostro “Io bambino” capace di stupore e curiosità che deve rimanere vivo e attivo. Invece purtroppo vedo giovani sempre più tristi, con gli sguardi assenti, come fosse loro negato l'accesso a qualsiasi desiderio degno di questo nome. Sono apatici, spesso perfino alessitimici nonostante frequentino con successo il liceo.
Ma è solo la loro responsabilità? Non credo.


Dietro la sofferenza di tanta parte della gioventù di oggi si cela una mancanza profonda: la famiglia. I ruoli del padre e della madre sono spesso troppo sfumati: non è raro oggi che la madre indossi le minigonne della figlia e insieme partecipino alla stessa apericena, o che il padre si fumi uno spinello con il figlio, o giochino insieme in un video game come unico spazio relazionale condiviso. Ciò diventa negativo se il preadolescente e poi successivamente l'adolescente non individua nella famiglia un “contenitore” sicuro a cui riferirsi nei momenti difficili. Un porto in cui approdare dopo viaggi tempestosi. Parlare con i figli, confidarsi, rimanere in empatia con loro è essenziale, come passare loro dei valori in cui credere, per cui lottare e faticare.
C'è qualcosa più importante del denaro, del successo e del potere? Io genitore sono capace, non tanto di dirglielo, ma di trasmetterlo a mio figlio, pur con tante difficoltà e fallimenti? Sono comunque per lui credibile? Se ciò accade è pensabile che il giovane abbia fiducia nell'amore e si possa affidare al senso di completa gratuità che questo sentimento richiede per crescere. Non nell'ottica utilitaristica del vantaggio personale nel sentirsi gratificato (mi va, mi piace), do ut des, ma della realizzazione di sé come dono e forma più alta e nobile di espressione. E' un altro linguaggio che a volte manca ai giovani, ma ancora di più agli adulti a volte incapaci di percepirsi persone in relazione e non solo individui pressati dal bisogno di affermarsi nel mondo.