Nel lontano 1913 lo psicologo statunitense John Broadus Watson (1878-1958) pubblicò un articolo che lo rese famoso, dal titolo La psicologia considerata dal punto di vista comportamentistico e contemporaneamente fondò una nuova scuola psicologica, denominata comportamentismo.  Watson a ragione è ritenuto il padre del comportamentismo.

Se fino ad allora gli studi sulla coscienza avevano occupato la mente dei suoi colleghi egli introdusse adesso una profonda innovazione, spostando l'accento dagli studi sulla coscienza a quelli sul comportamento animale e umano, su ogni tipo di comportamento di organismi ed esseri viventi. Watson si schierò contro il concetto di "innatismo" sostenendo l'importanza del condizionamento di stimoli esterni su ogni tipo di comportamento umano. Questo concetto si rivelò di enorme importanza per il comportamentismo perché introdusse lo schema Stimolo-Risposta (S-R). A un determinato stimolo su uno specifico organismo corrispondeva una reazione dello stesso.


Il comportamentismo fu condizionato notevolmente anche dagli esperimenti di Ivan Pavlov (1849-1936), fisiologo ed etologo russo, divenuto poi famoso a livello mondiale per i suoi esperimenti e studi sul riflesso condizionato dei cani.
La nascita e lo sviluppo della terapia del comportamento (behavior therapy) risale agli studi di Watson; circa nel 1920 egli, insieme a Rosalie Rayner (1898-1935), dimostrarono la possibilità di far apprendere a degli esseri umani determinati sintomi neurotici simili a quelli che si manifestavano nelle neurosi spontanee. La behavior therapy fu sviluppata da Burrhus Skinner (1904-1990) e Ogden R.Lindsley (1922-2004), ma si affermò intorno al 1959 grazie agli studi di Hans Jurgen Eysenck (1916-1997), il più famoso ed efficiente rappresentante di questa teoria che, dalla seconda metà del secolo scorso, ha preso sempre più campo e notorietà.


Fondamento del comportamentismo è la convinzione che le neurosi non insorgono per cause inconsce, si presentano come un insieme di sintomi che a loro volta sono solo abitudini apprese, consolidate nel tempo e in quanto tali possono essere corrette, sostituite, cancellate, modificabili quindi con nuove abitudini, consentendo un migliore stile di vita e soprattutto di adattamento all'ambiente. La teoria del comportamento tende quindi a mettere in ombra tutta la teoria psicanalitica scardinando i fondamenti della psicoanalisi e di quell'approccio introspettivo ai problemi che portava il paziente a guardarsi dentro e ad assumere un atteggiamento analitico; con le teorie del comportamentismo l'accento si sposta su come e quanto l'esterno, l'ambiente possa condizionare l'individuo. Per la psicoanalisi e le teorie analitiche classiche è ritenuto parziale e non risolutivo lavorare sul sintomo perché cercando solo di cacciare (o sedare farmacologicamente ) il sintomo esso non esprimerà, nell'accezione più ampia del termine, la sua valenza positiva; esso in effetti insorge perché vuole comunicare qualcosa al soggetto che esprime tale sintomo e se questo gli viene negato il sintomo sarà costretto a fare di nuovo la sua comparsa sotto altre vesti; cioè, in pratica, se facciamo uscire il sintomo dalla finestra questo rientrerà, magari sotto un'altra forma dalla porta, probabilmente si presenterà più aggressivo! E' necessario quindi analizzare le cause inconsce che hanno causato l'insorgenza del sintomo. Dal canto loro i comportamentisti accusano gli psicoanalisti di non basarsi su teorie scientifiche solide, senza una verifica empirica affidabile. Inoltre secondo i comportamentisti gli psicoanalisti sono addirittura inconsapevoli che i soli risultati ottenuti sono frutto di un'applicazione di tecniche derivanti dalle teorie dell'apprendimento.


Il comportamentismo considera il comportamento nevrotico come disadattivo: tale comportamento porta l'individuo a fallire dove invece vorrebbe riuscire; come per un paradosso assurdo che gli provoca umiliazione e sofferenza. Le abitudini disadattive sono paradossali ed è necessario entrare in questa logica del paradosso per afferrarne il senso.


Per la maggior parte dei rappresentanti del comportamentismo è inoltre ininfluente il concetto di personalità, considerando la personalità come semplice somma dei comportamenti della persona. Approfondendo gli studi i comportamentisti arrivano alla considerazione che fra stimolo e risposta si interpone l'organismo e il vecchio paradigma R-S viene gradualmente sostituito con S-O-R. Infatti stimoli identici su diversi organismi producono risposte differenti e gli stessi stimoli possono produrre diverse risposte nello stesso organismo.
Tanta strada c'è tuttora da percorrere, ma i nuovi contributi teorici e sperimentali spingono a ribadire l'importanza di trovare un filo conduttore comune di ricerca e prospettiva pur nella diversità dei presupposti scientifici, un punto di incontro che favorisca la conoscenza, lo studio e lo sviluppo psichico ed emotivo dell'essere umano.