“Ci sono prigioni con barriere, ma ce ne sono di più raffinate da cui è difficile fuggire, perché non si ha la consapevolezza di essere prigionieri”. Henri Laborit

Attualmente si assiste ad una progressiva fragilità del legame di coppia, aumentano a ritmo esponenziale separazioni e divorzi con la conseguente crescita dei “figli del divorzio”. Sempre più difficile e meno scontato appare il rimanere uniti in quanto la famiglia è attualmente aggredita su più fronti, non offre un assetto stabile, “per tutta la vita”, ma è in continua trasformazione, costretta a ridefinire velocemente gli spazi, i confini, le esigenze. Quasi impossibile è adagiarsi a lungo sull’equilibrio acquisito: la nascita di un nuovo bambino non atteso, il trasferimento per lavoro, la perdita del lavoro, un lutto, la stessa adolescenza del figlio che trova impreparati e impotenti i genitori; sono tutti fattori che impongono una continua rivisitazione dell’assetto familiare.

Se i coniugi non sono capaci di ascoltare se stessi, essere consapevoli dei propri bisogni per mettersi in relazione responsabile con quelli del compagno (elaborando insieme i vari problemi, ma anche accettando la distanza insita in ogni relazione, che l’altro in quanto “alterità° esprime) si giunge facilmente alla decisione di separarsi. La sofferenza, l’incomprensione, il silenzio stesso diventano insopportabili. Tale modo di affrontare la crisi è perfettamente in sintonia con l’humus culturale in cui siamo immersi che Zigmunt Bauman definiva “liquido”, perché contraddistinto da un individualismo imperante e da una fondamentale assenza di quei valori esistenziali che arricchiscono il senso della vita. Alla domanda ”che senso ha?” purtroppo troppo spesso si sostituisce solo la risposta: “Voglio tutto intorno a me, immagino e posso, è giusto perché mi va!”. Questo atteggiamento mentale diventa una convinzione tanto logica. ovvia e immediata quanto insidiosa per la costruzione e il consolidamento dell’alleanza, la complicità e la solidarietà di coppia. Non si contempla la possibilità di verificare l’esistenza dei possibili margini per il recupero della crisi in atto. Si cerca superficialmente una risposta veloce che risolva o almeno “sedi” il disagio emotivo. Persa la capacità e la volontà di introdurre lo “straordinario” nella quotidianità del rapporto, si ritiene scontato se non anche dovuto cercare fuori dalla relazione quella freschezza che la vita matrimoniale non suscita più. Si affievolisce la speranza che la situazione fra i due possa migliorare, subentra la delusione, il senso di vuoto e di perdita che accompagna la totale mancanza di attrazione e interesse sessuale per il compagno. Il senso di isolamento e di impotenza prevalgono; in questo stato d’animo, spesso dopo aver sperimentato la via del tradimento come ultima possibilità di sopravvivenza nella coppia, i due intravedono nel sistema giuridico una risposta alle loro ansie, uno strumento per “mettere ordine” nel caos della loro angoscia; un contenitore delle loro angosce e dispensatore di risposte logiche . Se la separazione avviene consensualmente non ci sono grossi problemi, in caso contrario il conflitto può assumere toni distruttivi di rivalsa e ripicca. In questa complessa situazione se ci sono figli sorge il problema dell’affido condiviso o meno.
Il giudice deve tutelare gli interessi del minore e per questo deve accertarsi della capacità genitoriale di entrambi. Non è scontato che marito e moglie diano priorità al benessere e alle esigenze reali dei minori e quindi siano capaci di mettere in primo piano la loro responsabilità genitoriale rispetto ai loro problemi e alle loro dinamiche di coppia. Come si evince dal Protocollo di Milano (2012) all’art. 1.2 in merito all’idoneità genitoriale fra i vari punti si sottolinea la necessità di offrire al minore un contesto di vita stimolante e protettivo e soprattutto di “promuovere il ruolo dell’altro genitore favorendo la sua partecipazione alla vita del figlio, salvaguardando i legami generazionali anche con la famiglia allargata. Lui e lei anche se divisi come coppia di sposi, restano genitori per tutta la vita e per il benessere e l’equilibrio psichico del figlio è necessario che restino “alleati”, complici, si schierino uno dalla parte dell’altro evitando di stabilire alleanze trasversali genitore-figlio all’interno di un rapporto simbiotico di dipendenza del minore nei confronti dell’adulto. In tale contesto infatti il figlio non è rispettato dal genitore come soggetto, da lui distinto, ma come sua appendice che gratifica il bisogno narcisistico dell’adulto. Non è considerato un individuo psicologicamente differenziato. Il conflitto fra i due adulti condiziona l’equilibrio del minore che può temere di perdere l’amore del genitore dominante (alienante) se non corrisponde alle sue aspettative, avvertirà quindi il bisogno di schierarsi dalla parte “del più forte” contro l’altro genitore (genitore alienato). Si tratta di una triangolazione pericolosa dove genitore e figlio sono alleati contro l’altro genitore con lo scopo di denigrarlo ed emarginarlo dalla relazione affettiva. Nei casi più gravi si tratta di una relazione disfunzionale altamente patologica definita “sindrome di alienazione parentale”. La diagnosi si formula sempre e comunque in base al comportamento del bambino e non dei genitori.

Per evitare i conflitti genitoriali sopra descritti (triangolazioni, alleanze trasversali, denigrazione di un genitore da parte dell’altro ad opera del minore) è necessario sviluppare una logica condivisa fra i due, sintonizzata sui bisogni dei figli e non dei genitori. Non coinvolgerli nelle diatribe distruttive dei due adulti, non cercare o pretendere che il figlio si schieri, ma lasciarli liberi di amare entrambi.